S. Bartolomeo a Metello: racconto folklorico e tratti iconografici.Un antecedente dall’antichità

  A Metello  nella Valle di Soraggio (com. di Sillano) la storia di San Bartolomeo - il santo del paese - ricorre in una maniera che è ‘fedele’alle tradizioni relative al santo.

Quel che ci pare interessante sottolineare è il fatto che la storia del santo - secondo la versione dello scuoiamento (1) - viene a porsi quale fulcro per una codificazione dei rapporti ‘tradizionali’ quali il paesino di Metello intrattiene (intratteneva) con la gente del versante appenninico di Reggio Emilia. In un quadro più ampio, la storia di San Bartolomeo narrata a Metello coinvolge  non solo i rapporti con i “Lombardi” (quelli del versante padano,qui più in part. la gente proveniente dal reggiano) ma anche i rapporti,dall’altra parte,con Sillano.

Preliminarmente sono utili alcune considerazioni.Anzitutto v’è da osservare che il fatto non é insolito per quanto concerne la leggenda.La leggenda proviene in quanto tale da un altrove, o è generale, ma viene ‘riportata’ alla località in questione: sembra trattarsi di una regola assodata.Possiamo anzi fornire una scala- prescindendo dalle terminologie precise - per cui vi sono racconti che sono generali e tali almeno di solito restano:così la fiaba che non proviene da nessun luogo preciso e non si aggancia(di solito)a nessun luogo.(2) Vi sono racconti che sono generali e che si applicano a luoghi specifici; e vi sono racconti che provengono o sono comunque riferiti a un altrove,sebbene secondo versioni differenti e secondo effetti di fluttuazione,ma che vengono poi applicati a luoghi specifici.E’, quest’ultimo, il caso riguardante gli avvenimenti relativi ai santi. D’altronde la ‘localizzazione’ della vicenda mette in gioco - coordina potremmo dire - la stessa identità locale situandone la specificità in quel che chiamiamo il luogo sintattico del Soggetto: la storia del santo è il predicato in quanto predispone un luogo sintattico,quello appunto del Soggetto (3), in cui la ‘località’ geografica gioca il ‘dramma’-interpretato tramite la vicenda del santo come predicato e come simbolico-della propria identità. Ciò é direttamente verificabile per quanto concerne la storia di Bartolomeo a Metello di Valle Soraggio. La vicenda del martirio tramite scuoiamento è nota, e ci riporta ad un ‘altrove’: a Metello di Valle Soraggio il ‘soggetto’ dello scuoiamento del santo, che sarebbe giunto proprio là dalla Turchia, è rappresentato da uomini provenienti dal reggiano. L’identità è una intercorrenza nel posto sintattico del soggetto: e la ‘qualità’ (la semantica identificante) è costituita dal predicato narrativo, dal racconto in quanto tale (a prescindere dal soggetto ‘specifico’) della vicenda. Ecco, a proposito del santo, alcune testimonianze sentite per l’appunto a Metello: (4)

 “Raccontagli la storia di San Bartolomeo! ...Sì, è il santo della zona...è un turco quello lì, lui viene dalla Turchia (...) Perché le pecore che vengono attraverso questo mondo vengono dalla costa turca (...) vengon tutte dalla Turchia le bestie. Questo turco è un ragazzo, e lì in chiesa è piccolino. Stava quassù e suo padre è uno di quelli che...c’è sempre stato il grosso e il piccolo mondo...torchiava la gente, bastonava...un grande signore, lui scappato (...) è venuto fin qui e stava quassù sul monte qui. Siccome gli Emiliani, noi siamo sul confine, venivano qua a rubare, perchè ora sono ricchi ma una volta son sempre venuti qui a lavorare, gli Emiliani. C’eran tante bestie qui, c’era da trentamila a trentaduemila pecore, si campava con quelle cose lì. (...) E venivano di qua (gli Emiliani cioè) e lui stava a fare la guardia lassù, San Bartolomeo, ma non era un santo. Per parare c’era la campana in chiesa, attaccata lì al campanile, e lui stava attento alla campana. La sua campana sonava...e questi qui (di Metello cioè) si preparavano chè arrivavano gli Emiliani a rubare, e un giorno lo presero (gli Emiliani cioè) sulla costa, qui, al sole (...). E lui faceva la guardia lì, e parava quelli là, sonava la campana e poi la campana non sonò,...vennero giù i Lombardi(...) i lombardi sono gli Emiliani, noi si chiaman Lombardi, è un modo di dire, noi siamo al confine, sul monte lì...E venivano qua a rubare...La campana non la sentirono (quelli di Metello cioè) e dicono: “Ma come?”. Sono andati a cercarlo e era nella macchia della Veneranda di lì...l’avevano spellato vivo. Infatti se vai in chiesa lo vedi. Lui era lì al sole d’inverno, di marzo, lo spellarono (...)”.

 Un’altra testimonianza:

 “(...) lui (San Bartolomeo cioè) quando arrivò a suonare la campana, la campana non suonò, dopo fu preso dagli Emiliani...fu ammazzato, fu scuoiato (...) Lo eran venuto a cercare perchè non suonava e lo trovarono lassù spellato...proprio capelli,tutto,...la pelle in mano...e lì, e lui rimase lì spellato, di marzo, e veniva dalla Turchia. Dopo lo fecero santo...ma non c’era prima (...). Questo San Bartolomeo è lì in chiesa (quella di Metello cioè). Sì, c’è la statua del santo con la pelle in mano, che però è stata ripitturata di recente con lo smalto...gliela misero (gli Emiliani cioè) in mano”.

 E ancora:

 “...la sapeva Sergio, a me l’ha raccontata Sergio. Veniva di...ora di dove veniva non me lo ricordo e andava su a Romecchio...Ci aveva la chiesina più grande di quella che hanno rifatta...stava lì e ci aveva la campanella, e quuando venivano quelli di là..., come si dice?, i Lombardi, e venivan di qua, e allora lui sonava la campanella, e questi qui (di Metello cioè) andavano su tutti, perchè non venissero di qua dal nostro... Li mandavano via...; e un giorno era lì nel prato di...la Veneranda si dice noi..., questo San Bartolomeo, e non li vide...e arrivarono lì e lo spellarono vivo e lo lasciarono lì, e dopo non sentivan più suonare la campanella, questi (di Metello cioè),...andarono su e lo trovarono morto (...). E lui sa una storiella, ma io non la so, che dice: “Dal suo paese nato dov’era...dalla Turchia son venuto a Romecchio...”. Ma non era così perchè era più bella (...)”. 

 Bartolomeo è anche il santo di Sillano. Narrativamente, viene còlta l’occasione per fissare l’identità in termini, ancora una volta, di conflittualità: d’altra parte non vi è, probabilmente, identità se non conflittuale, o quantomeno contrastiva (nell’accezione semiotica di una fissazione sistemica delle differenze). E il possesso del santo - com’è noto - costituisce di solito uno dei cardini, che di nuovo chiamiamo predicativi, di tale conflitto o contrasto, secondo cui si fissa un’identità ‘locale’.

Ebbene, il santo in quanto anche santo di Sillano è un santo proditoriamente venduto. Ed è una famiglia di Metello che avrebbe perpetrato l’atto di vendere il santo del paese: cosa di cui anche i discendenti poterebbero il segno; un segno che per parte sua ricorda la vicenda stessa d’origine (eziologia). Così il racconto: (5)

 “(...) Lui era lì al sole d’inverno, di marzo, lo spellarono, e i vecchi di questa famiglia lo trovarono e lo vendettero a Sillano per un quarto di “vecce” di marzo, e infatti questa signora qui non ce l’ha ma gli altri parenti son di pelle più scura e ci han le “vecce” qui (in faccia cioè) ogni tanto. La famiglia di questo parente (6) vendette questo uomo a Sillano per un quarto di “vecce”... Le “vecce” sono...erba, si dà per i muli, per i cavalli. E pare per tradizione, non so, pare che la famiglia che vendette questa persona a Sillano, per malaugurio, per aver ceduto questa persona che allora aveva prestato servizio sul confine, che suonava la campana per l’entrata, per dare l’allarme, parvero questa voglia dei semini di questa erba. Ogni tanto, non sempre, quando cambia la luna gli viene questo segno come castigo. (...)”.

 Seconda testimonianza:

 “(...) dopo fu preso dagli Emiliani,... fu ammazzato, fu spoiato. Dopo poi venne venduto da questa famiglia...che era qui di Metello..., venne venduto San Bartolomeo, e l’ha venduto a Sillano (...). La “veccia” si dà alla cavalla, ai colombi, ai piccioni (...). Non è un’erba, è un seme...ora non si usa più...era come il seme del grano...scuro...come l’orzo ma rotondo (...). La famiglia era di Metello, che l’avrebbe venduto a Sillano. Lo eran venuto a cercare perchè non suonava e lo trovaron lassù spellato...proprio capelli, tutto,...la pelle in mano (...)”.

 Ed ecco come prosegue la terza testimonianza:

 “(...) e dopo non sentivan più suonare la campanella, questi,...andarono su e lo trovarono morto, che poi l’han venduto a Sillano...l’ha venduto questi di qui (di Metello cioè)...io non lo so...insomma han venduto questo santo per un quarto di “vecce”...sa per seminare...loro dovevan seminare le “vecce” e gli dettero via questo santo, e loro (quelli di Sillano cioè) gli dettero un quarto di “vecce”...ora, me la raccontava così anche la mia mamma...Il nostro santo qui l‘hanno venduto a Sillano. E lui sa una storiella, ma io non la so, che dice: “Dal suo paese nato dov’era...dalla Turchia son venuto a Romecchio...”. Ma non era così perchè era più bella e diceva: “M’hanno venduto, ma io a Romecchio voglio ritornare!”, che poi è ritornato a Romecchio e...ce l’abbiamo anche noi il santo...non lo so come ha fatto a ritornare...Sì, quelli di Sillano l’hanno comprato perchè diventasse anche il loro santo (...) il 24 agosto fanno la festa a San Bartolomeo anco loro...Non lo so dove sono i resti...A noi il santo ce l’ha rifatto uno di Camporanda...che è il nostro santo che abbiamo in chiesa che è di legno...perchè ce lo rifecero...poi abbiamo il quadro attaccato in...quello grande...perchè noi il nostro patrono è San Bartolomeo, e a Sillano lo stesso...perchè dicevano così, che lui era partito...a Sillano...ma è una storia bellina ma io non la so...non me ne ricordo...insomma voleva ritornare a Rovecchio chè ora ci hanno rifatto la chiesina che era franata”. 

 La vicenda della vendita del santo a Sillano segue quella dello scuoiamento da parte degli Emiliani. Il racconto definisce l’identità rivendicata da Metello attraverso le vicende del santo, che Metello per l’appunto attribuisce a sè (localizzazione preliminare).

Nello ‘spazio di divaricazione’ fra i due episodi in raccordo si delinea insomma una identità attorno e tramite delle ‘storie’ relative al santo in quanto esse stesse predicato per l’identità.

La conseguenza della vicenda dello scuoiamento del ‘santo di Metello’ da parte degli Emiliani spiega eziologicamente la ricaduta iconografica del santo che tiene in mano la propria pelle in una statua nella chiesetta di Metello. La conseguenza della vicenda della vendita a Sillano spiega eziologicamente - e nella prospettiva di quella che abbiamo chiamato identità conflittuale - la presenza del santo a Sillano secondo l’iconografia dello scuoiamento del santo (sebbene il tema dello scuoiamento vi sia realizzato secondo un modello diverso rispetto alla rappresentazione di Metello).

 Seguiamo ora la via iconografica. Attorno, per così dire, al tema dello scuoiamento, il tratto iconografico costituito dal santo che tiene con una mano la sua stessa pelle, in cui risalta il volto del santo medesimo, vanta (lo si sa) un illustre predecessore: il San Bartolomeo del Giudizio Universale  di Michelangelo tiene con la sinistra la pelle (col volto) mentre nella destra compare un coltello. Il modello si sarebbe diffuso in seguito all’impiego da parte di Michelangelo.

Un’altra realizzazione iconografica ‘attorno’ al tema dello scuoiamento - a parte il fatto che non di rado il santo viene rappresentato ‘semplicemente’ con un coltello in mano - consiste in un tipo di scena il cui il santo, legato ad un albero, viene scuoiato dal/dai carnefice/-i. Ed è questo il tipo cui rinvia la raffigurazione del martirio di San Bartolomeo sul frontale della chiesa di Sillano.

D’altronde, si dovrà tener presente che a Metello si dice che il santo giunse colà dalla Turchia.

 Effettivamente ciò trova riscontro nelle ‘connessioni’ del santo con Bisanzio e l’Asia Minore.

 Più in particolare - e prescindendo dalle tradizioni nonchè dalle attestazioni iconografiche garfagnine, bensì in riferimento alle tradizioni e all’iconografia di San Bartolomeo in quanto tali - potrà valere quale utile indicatore per una riflessione ulteriore il fatto che Bartolomeo abbia qualcosa a che vedere con la Frigia. (7)

Nostra impressione è che nella ‘vicenda’ di Bartolomeo legato ad un albero e scuoiato - nonchè nell’iconografia relativa - abbia avuto un suo peso l’antico racconto del frigio Marsia, che secondo il mito osò rivaleggiare addirittura col dio Apollo in una gara musicale, e fu da lui punito in una maniera assai simile a quella riscontrabile nelle narrazioni su San Bartolomeo. Il sileno Marsia (8) fu infatti legato ad un albero e scuoiato della sua pelle animalesca. Questa la versione che ci fornisce Apollodoro (Bibl.  I 4, 2, 24):

 “(...) Questi, trovato l’aulo che Atena aveva gettato perchè le deformava il volto, sfidò Apollo a una gara di musica, con l’intesa che il vincitore potesse fare del vinto ciò che voleva. La gara ebbe inizio e Apollo suomava con la cetra capovolta ingiungendo a Marsia di fare altrettanto, ma Marsia non ne fu capace e allora Apollo, risultato vincitore, lo appese a un pino altissimo, gli tolse la pelle (ektemon to derma ) e lo fece morire in questo modo”. (9)

 Più articolato ma sostanzialmente equipollente, per quel che concerne il punto che qui ci interessa, il resoconto di Igino (Fab.  165):

 Minerva tibias dicitur prima ex osse cervino fecisse et ad epulum deorum cantatum venisse. Iuno et Venus cum eam irriderent, quod et caesia erat et buccas inflaret, foeda visa et in cantu irrisa in Idam silvam ad fontem venit, ibique cantans in aqua se adspexit et vidit se merito irrisam; unde tibias abiecit et imprecata est ut quisquis eas sustulisset, gravi afficeretur supplicio. Quas Marsyas Oeagri filius pastor unus e satyris invenit, quibus assidue commeletando sonum suaviorem in dies faciebat, adeo ut Apollinem ad citharae cantum in certamen provocaret. Quo ut Apollo venit, Musas iudices sumpserunt, et cum iam Marsyas inde victor discederet, Apollo citharam versabat idemque sonus erat; quod Marsyas tibiis facere non potuit. Itaque Apollo victum Marsyan ad arborem religatum Scythae tradidit, qui eum membratim cute separavit; reliquum corpus discipulo Olympo sepulturae tradidit, e cuius sanguine flumen Marsya est appellatus.

 In questo caso, è uno scita che per conto di Apollo procede allo scuoiamento di Marsia.

A parte ciò, v’è una tradizione secondo la quale Apollo, dopo lo scuoiamento, avrebbe appeso all’albero la pelle di Marsia. Si consideri il seguente passo di Nonno (Dionys.  I 40-44):

 “(...) me kai orino / Phoibon emon; donakon gar anainetai empnoon echo, / exote Marsyao theemachon aulon elegxas / derma pareiorese phytoi kolpoumenon aurais, / gymnosas hola guia liporrinoio nomeos”. (10)

 Senza insistere troppo su questa parte, vorremmo però ricordare che alle suddette tradizioni sembrano iconograficamente corrispondere rappresentazioni quali quelle di un cratere apulo che ci mostra Marsia legato ad un albero  (le mani sono qui dietro la schiena), di fronte al quale sta Apollo con in mano un coltello . E una pelle animalesca - la pelle dello stesso Marsia evidentemente - è appesa ad un ramo dell’albero . (11)

Anche in un rilievo marmoreo nel teatro di Pamukkale (Hierapolis) Marsia appare attaccatto ad un albero (con le mani legate all’albero in alto sopra la testa); ad una propaggine dell’albero è sospesa una pelle animalesca (12)  che, al solito, interpretiamo come la pelle dello stesso Marsia.

 In generale, la somiglianza iconografica con i moduli iconografici che riguarderanno San Bartolomeo (a sua volta correlato - lo abbiamo visto - con l’Asia Minore, e con la Frigia più in part.) balza subito agli occhi.

Ma si può compiere ancora un passo in avanti. Una tradizione ‘precisa’ quanto già sappiamo, in una direzione ancora più suggestiva, e per tale via consente un ‘ritorno’ alla iconografia di San Bartolomeo quale si riscontra - anche - nella chiesetta di Metello.Febo(/Apollo), dopo aver legato Marsia ad un albero, lo scuoia della sua pelle villosa e ne fa un otre. Sospeso in alto, sull’albero, al soffio dell’aria, l’otre si gonfia rendendo l’immagine del sileno stesso, e con essa il suono che la pelle-otre-immagine emette come se ancora si trattasse del “pastore che non sa tacere”. (13) Quindi Febo(/Apollo), còlto da pietà, lo trasforma nel fiume frigio che porta appunto il nome di Marsia. Così, di nuovo, Nonno (Dionys.  XIX 319 sgg.):

 “Alla he gymnosas lasiou chroos, ernei desas, / empnoon askon etheke, kai hypsothi pollaki dendrou / endomychos kolpose typon mimelon aetes, / hoia palin melpontos asigetoio nomeos: / kai min epoikteiron morfosato  Delphos Apollon, / kai potamon poiesen homonymon; eiseti keinou / Seilenou lasiou phatizetai agkylon hydor, / kai ktypon enemophoiton ereugetai, hoia per aiei / antitypois donakessi melizomenou Phrygos aulou”.

 L’otre è dunque la pelle  stessa di Marsia , e ne ‘contiene’ l’immagine  (e il suono). In consonanza - o parziale consonanza - con questo passo di Nonno si colloca una testimonianza di Erodoto a proposito del fiume della Frigia “che ha nome Catarratte”: esso “scaturisce dalla piazza di Celene e si getta nel Meandro. In questa piazza - prosegue lo storico ed etnografo greco - sta appesa anche la pelle (il termine greco è askos ) del sileno Marsia, che i Frigi raccontano sia stata scorticata e appesa da Apollo” (Storie  VII 26, 3). (14)

Si potrà, in rapporto al tema dell’otre-pelle(/immagine), segnalare l’esistenza a Roma, nel Foro, di una statua indicata dal popolo come di Marsia: una figura di sileno nudo con un otre sopra la spalla sinistra (e con la mano destra alzata). (15) Se si segue la linea dell’interpretazione popolare, l’otre sulla spalla del Marsia del Foro romano sarà allora la pelle stessa del sileno scuoiato: quell’otre-pelle villosa che, stando alla tradizione di cui ci è testimone Nonno, ‘contiene’ l’immagine di Marsia (e che al vento rende sia l’immagine che il suono).

Non siamo - ci pare - troppo distanti, neppure da questo specifico punto di vista, dalla realizzazione iconografica di un San Bartolomeo che tiene (con la mano sinistra) la propria pelle, nella quale si delinea l’immagine del santo stesso cui appartiene.

 Alberto Borghini - Cristiana Pettenuzzo

                                                                             Nota

Il presente intervento rientra nel quadro di un progetto di ricerca promosso dai Comuni di Giuncugnano, Minucciano, Piazza al Serchio e Sillano - grazie a un contributo della Provincia di Lucca secondo il piano regionale della cultura - sul tema ‘Identità culturale e immaginario popolare in Alta Garfagnana’.

 (1) Al prop. cfr. fr. spadafora, M. L. Casanova e A. Rigoli, in Bibliotheca Sanctorum , vol. II, Roma, Città Nuova Editrice 1962, s. v. Bartolomeo , coll. 852 sgg. .

 (2) Diversamente in Garfagnana e, per es., a Montignoso di Massa. Per quanto concerne le fole  garfagnine cfr. G. Venturelli, La gallina della nonna Gemma. Lo straordinario repertorio di una narratrice italiana , Vigevano, Diakronia 1994. Di Venturelli si veda altresì La trasmissione della fiaba. Analisi di un caso d trasmissione familiare , in “La ricerca folklorica”, 15, aprile 1987 (Oralità e scrittura , a cura di G. Cusatelli), pp. 53 sgg. .

Al riguardo anche A. Borghini, Il significante che non è senza significato. Dialettica dell’identità nella trasmissione delle fole garfagnine della nonna Gemma , in A.A.V.V., Le tradizioni orali , atti del “Convegno in ricordo di Gastone Venturelli”, Terranuova Bracciolini (AR), 28 aprile 1996, Terranuova Bracciolini, Biblioteca Comunale e Assessorato per la Cultura 1998, pp. 45 sgg. .

 (3) Per questa espressione, e per le prospettive teoriche qui sommariamente delineate si rinvia alle lezioni di Antropologia culturale (Politecnico di Torino) e di Semiotica (Univ. di Pisa) tenute in questi anni da A. Borghini. Si veda altresì, di A. Borghini, la (sintetica) Introduzione al volume Semiosi nel folklore. Prospettive tipologiche e analisi ‘locali’ (Toscana, Liguria, Piemonte) , Piazza al Serchio (LU), Quaderno n. 1 della Biblioteca “Gastone Venturelli” per la Fiaba e le Tradizioni Popolari 1998.

 (4) Da Cr. Pettenuzzo e A. Borghini, in data 4 ottobre 1998.

 (5) Testimonianze raccolte da Cr. Pettenuzzo e A. Borghini, in data 4 ottobre 1998.

 (6) L’informatore ci ha detto di essersi imparentato coi discendenti di questa famiglia.

 (7) Cfr. la voce Bartolomeo in Bibliotheca Sanctorum , cit. .

 (8) Altre volte Marsia è un satiro.

 (9) Trad. a cura di M. G. Ciani, Verona, Mondadori 1996; si veda anche la nota di commento di P. Scarpi, p. 440.

Cfr. Diod. Sic. III 59, 5: “...ekdeirai zonta ton hettethenta”.

Si consulti inoltre Apollodoro, Biblioteca. Con il commento di James G. Frazer. Edizione italiana a cura di Giulio Guidorizzi , Milano, Adelphi 1995, in part. pp. 188-9.

Su Marsia, in generale, cfr. Jessen, in W. H. Roscher, Ausfuehrliches Lexikon der griechischen und roemischen Mythologie , vol. II.2, rist. Hildesheim - New York, Olms 1962, s. v. Marsyas , coll. 2439 sgg. .

 (10) Questa la traduzione francese di Fr. Vian (Paris, Les Belles Lettres 1976, ad loc. ): “Je ne veux pas à mon tour offenser mon Phoibos, car il abhorre le son que l’haleine tire des roseaux, depuis que, vainqueur de Marsyas et de sa flute rivale des dieux, il a suspendu à un arbre la peau du berger que gonflent les brises, après lui avoir écorché vifs tous les membres”. Di Vian si legga la nota di commento (pp. 136-7).

Cfr. altresì, di Nonno, Dionys.  XIX 319 sgg. (più in basso).

 (11) Cfr. Jessen, in Roscher, Ausfuehrliches Lexikon... , cit., vol. II.2, s. v. Marsyas , coll. 2455-6 (compaiono alcuni altri personaggi).

 (12) Si consulti al proposito il Lexikon Iconographicum Mythologiae Classicae  (LIMC), vol. VI 2, Zuerich u. Muenchen, Artemis Verlag 1992, fig. I 54, p. 191; cfr. LIMC, vol. VI 1, p. 374.

Si veda Fr. D’Andria e T. Ritti, Hierapolis. Scavi e ricerche II. Le sculture del teatro. I rilievi con i cicli di Apollo e Artemide , Roma, Bretschneider 1985, pp. 58 sgg. .

 (13) A questa tradizione sembra far da contrappunto quella - inversa - secondo cui la pelle di Marsia si muoverebbe all’ ‘armonia frigia’ del flauto. Cfr. Ael. Varia historia  XIII 21: “Hoti en Kelainais tei dorai tou Phrygos ean prosaulei tis ten harmonian ten Phrygian, he dora kineitai”.

Per la tematica in questione si legga anche Luc. Tragodopodagra  314 sg.: “Ouk erisas echare Phoiboi Satyros Marsyas, / alla ligy psairei keinou peri derm’ha pitys”.

 (14) Trad. a cura di A. Izzo D’Accinni, Milano, Rizzoli 1984. Cfr. anche Claudian. 20 (In Eutropium liber alter ) 255 sgg.: “Hic cecidit Lyciis iactata paludibus olim / tibia, foedatam cum reddidit unda Minervam, / hic et Apollinea victus testudine pastor, / suspensa memores inlustrat pelle Celaenas. / Quattuor hic magnis procedunt fontibus amnes / auriferi (...)”.

Circa il rapporto tra il fiume e Marsia si tenga presente Hyg. Fab.  165, 5 (già cit.): “Itaque Apollo victum Marsyan ad arborem religatum Scythae tradidit, qui eum membratim cute separavit. Reliquum corpus discipulo Olympo sepulturae tradidit, e cuius sanguine flumen Marsya est appellatum”. Cfr. anche Myth. Vat.  I 125 e II 115.

 (15) Per le attestazioni cfr. Jessen, in Roscher, Ausfuehrliches Lexikon... , cit., vol. II.2, s. v. Marsyas , col. 2444.

 Alberto Borghini - Cristiana Pettenuzzo